Le Journal d’une femme de chambre

Pensavamo che la trilogia delle mamme incestuose rappresentasse il terminus post quem della filmografia di Roy Parsifal, il punto di non ritorno di un autore insuperabile nella messinscena dell’angoscia e dell’alienazione contemporanea. Ci siamo dovuti ricredere dopo aver visto Donne di servizio, capolavoro sui klassenverhaltnisse il cui rigore filmico fa scadere Dreyer agli stessi livelli di Hannah Montana. Appropriandosi dei linguaggi e degli apparati distributivi del cinema a luci rosse, Parsifal li sovverte dall’interno, de-erotizzando in maniera radicale la raffigurazione dell’atto sessuale e trasformando la visione del coito in un itinerario penitenziale che spesso spinge lo spettatore al rigetto definitivo di ogni forma di sessualità. La diegesi del gioco di seduzione tra padrone e cameriera non si rifà nè alla tradizione marxista, con la prevaricazione classista del datore di lavoro, nè allo stereotipo pergolesiano della serva-padrona, con l’alchimia sentimentale e sessuale che conduce ottimisticamente alla conciliazione degli opposti. Assistiamo invece all’incontro di due disperazioni assolute. Da un lato c’è la disperazione della badante polacca, sfruttata e sottopagata, che cerca nel coito con il vecchio comatoso un soddisfacimento fisiologico delle proprie esigenze naturali; dall’altro c’è la disperazione del vecchio comatoso, costretto a copulare controvoglia e trasformato in modo più o meno inconsapevole in uomo-fallo, in vibratore biologico, in cazzo-pupazzo. Un Eluano stuprato in virtù della propria (limitata) capacità erettiva, che diviene l’inconsapevole capro espiatorio del desiderio di rivalsa delle migranti dell’Est Europeo.

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